Siamo le trote evase dal ruscello
attaccate alla lenza pescatrice
illuse nel suo gioco.
L’animale ci pesca, noi crediamo
la poesia nell’aria, abbocchiamo
felici pesci rossi, ed amiamo
sino all’ultimo l’arpione fatale
e diciamo: r-esisto, quindi l’amo
immagine d’uccello sfigurata
nel giaciglio del fiume deformata
da scorrimento d’acqua traspirata
nelle branchie, nell’insenatura
l’assedio degli istanti in successione
linee rette tese ad infinito
parallele illusioni dell’unione
intersezioni improbabili sempre
quando ci dimeniamo sollevate
da pesantezze liquide
e fugate
membra polpose così destinate
alla cottura in quel d’universale
smarrendo il senno presto poi vediamo
le stelle essere eguali alle lenzuola
di nuotate alla noia, cercavamo
un letto differente, e moriamo
scoprendo l’animale essere il reale
poeta, uomo
lordatosi nei fanghi
entropie nel bagnato senza ranghi,
ceti, razze, età, né congiuntura
di ricchezze, né supposta
virtù
e con le pinne all’insù già friggiamo
gridando ancora — l’amo l’amo l’amo,
sì cara m’eri boccia.